Da torre a torre
dal mare alla collina.
Proposta per una escursione tra gli ulivi
Il punto di partenza è la torre di Prarola, presso la foce del torrente Prino, un tempo chiamato Prairolo. E' una piccola fortezza circolare, ora lambita dalle acque del mare. D'estate, quando il mare è placido, c'è spesso un fotografo, o un pittore, che la ritrae.
D'inverno le onde del mare in burrasca sembrano rinnovare gli assalti contro i quali fu eretta e munita e richiamano alla memoria storie di pirati, razzie e rapimenti. Al tempo di Francesco I e Carlo V, la flotta turchesca, alleata della Francia, rappresentò un incubo per le popolazioni che vivevano sulle coste e nei borghi dell'entroterra indifesi. La comandava Kair-ed-Din detto Barbarossa, bey di Algeri e nemico del Doria, e più tardi Dragut, divenuto ben presto il terrore del Tirreno, che per decenni saccheggiò i paesi e catturò centinaia di abitanti destinati ad essere venduti come schiavi (qualcuno ricorderà dall'album "Creuza de ma" di Fabrizio De André la canzone "Sinan Capudan Pascia", che rievoca la storia del marinaio Cicala fatto prigioniero e schiavo sulle galee, poi divenuto Gran Visir dei Sultano). Nel 1562 fu la volta di Civezza, Poggi, Torrazza, Piani.
Allora i portorini ottennero dalla Repubblica di Genova di poter costruire la torre di Prarola, compiuta il 1 giugno 1564, appena in tempo per salvare la vallata da un'altra incursione.
La battaglia navale di Lepanto del 1571 costrinse i turchi a rinunciare alle loro mire espansionistiche in Europa, ma non fermò un altro capo pirata, Ulugh Alì, detto "Occhiali", contro il quale nelle coste liguri veniva completato il sistema di avvistamento e di difesa con torri di guardia e fortezze che ancora oggi testimoniano un secolo di terrore e di pericolo. Poco lontano dal bastione, semisommersi, a duecento metri dal ponte attuale, ci sono i resti dei ponte romano della via Iulia Augusta (o Aurelia), fatta costruire dall'imperatore Augusto nel 13 a.C. lungo la riviera di Ponente, dopo la faticosa sottomissione delle tribù liguri.
Noi seguiamo il corso del Prino risalendo la riva destra del torrente che presenta un ambiente caratteristico per il canneto e la fauna, soprattutto uccelli migratori. Purtroppo i depositi di materiali vari e le attività che si svolgono sulle sponde sono troppo visibili; basterebbe elevare schermi compatibili con la natura circostante per salvaguardare la bellezza del torrente che ospita il cavaliere d'Italia, la garzetta, l'airone cinerino, il martin pescatore. E così giungiamo all'antico abitato di Piani e al suo santuario della madonna dell'Assunta. Non distolga l'attenzione il massiccio intervento di urbanizzazione compiuto sulla sponda opposta del torrente che purtroppo non rispetta la storia di questo paese e ne altera l'identità. L'antica pieve battesimale della valle del Prino, divenuta nel XIV secolo chiesa dei Cavalieri di Malta, conserva i magnifici affreschi della zona absidale più antica, il battistero, un antico cancello del '500 in ferro battuto, oltre naturalmente la statua lignea della Vergine, della fine del sec. XV, ancora oggi oggetto di venerazione che si rinnova ogni anno nelle celebrazioni di metà agosto. Il cammino prosegue lungo la riva destra del Prino oppure la sinistra, più agevole per chi compie il percorso a piedi, ma più assolata.
L'acqua scorre più o meno abbondante e scrosciante fra le canne foltissime; a volte è possibile vedere il falco scendere a bere e poi subito levarsi alto in volo per tornare verso la colla di Civezza dove nidifica.
"Non rifugiarti nell'ombra di quel folto di verzura / come il falchetto che strapiomba / fulmineo nella caldura. / E' ora di lasciare il canneto / stento che pure s'addorma ... ".
Il paesaggio, fatto di orti, muretti, stradine che li fiancheggiano, canne, luce mediterranea, evoca a non finire i versi del Montale degli "Ossi di seppia" e delle 'Occasioni".
"Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla: / le viuzze che seguono i ciglioni, / discendono tra i ciuffi delle canne / e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni".
Con i versi di Montale nel cuore e davanti agli occhi le colline piene di ulivi, giungiamo all'abitato di Clavi che gli abitanti chiamano ancora "Crovi".
Ci si deve scostare di pochi metri, sulla destra della carrozzabile per Dolcedo, per scendere al ponte romanico che doveva far parte di un sistema viario interno esistente già in epoca romana (come dimostra il ritrovamento di alcune monete) e ripreso in epoca medievale per il transito dei mercanti e dei pellegrini, che dal Piemonte scendevano attraverso la Val Tanaro ad imbarcarsi per la Terra Santa.
Il ponte del XIII secolo, a tre arcate, e l'attigua chiesetta di San Martino sembrano attendere un intervento che li salvi dal degrado insieme all'ambiente circostante.
Ombreggiato da una ricca vegetazione, il Prino forma un laghetto sulla cui sponda esistono le "bealere" che conducevano l'acqua negli orti. Il tutto offre un apparato, delizioso quadretto di forte suggestione, immerso nel silenzio. Se questo complesso ambientale fosse in Costa Azzurra o in Provenza, sarebbe già stato restaurato e valorizzato per diventare meta di un turismo desideroso di trovare in un luogo di pace godimento per gli occhi e per il cuore ed echi di vicende lontane. La terra di Liguria è adatta a questo turismo a cui ha ancora molto da offrire, se non vuole, con una politica suicida, compromettere l'avvenire della propria gioventù, oggi notoriamente in difficoltà anche per l'abbandono in cui parte dei territorio è stata lasciata.
Da Clavi si risale tra ulivi e muri a secco la collina di Torrazza, percorrendo la strada asfaltata, che sale dolcemente a tornanti, o le vecchie mulattiere ancora parzialmente agibili. Si raggiunge in breve tempo la millenaria chiesa romanica di San Giorgio, fulcro dopo il Mille del terziere di San Giorgio, che con quello di San Tommaso di Dolcedo e di San Maurizio di Porto formava la Repubblica di San Maurizio. La calda tonalità della pietra esaltata dal sagrato erboso, la bella vegetazione, i fiori e la quiete inducono ad una sosta in questo luogo capace di infondere nell'animo una grande serenità. In breve, seguendo la strada o la mulattiera, si arriva al borgo di Torrazza dove si può sostare nella piazzetta di San Giovanni, dall'acustica perfetta, su cui sorgono l'oratorio barocco e l'antico palazzo comunale con la meridiana recante lo stemma del borgo. Poco sopra, San Gottardo domina l'abitato. L'intrico dei carruggi ombrosi, con le case abbracciate dagli archetti, sono lo scenario in cui il Donaudi, nel secolo scorso, ambientò il rapimento di Annina per opera dei bravi del conte di Pietralata. A sinistra di San Gottardo una strada pedonale porta alla meta della nostra passeggiala: la torre antibarbaresca e l'oratorio campestre di San Bernardo. La torre, restaurata alcuni anni orsono, è integra e domina la collina da più di quattro secoli, testimone di vicende luttuose, saccheggi e strenue difese. Possiamo immaginare i fuochi accesi per segnalare, da torre a torre, alle popolazioni l'avvistamento delle flotte nemiche ed il rifugio che la costruzione offriva agli abitanti e al bestiame.
Vicinissimo c'è l'oratorio campestre di San Bernardo, dei primi decenni dei Seicento, costruito quando ormai il pericolo delle incursioni corsare era scongiurato. Sarà restaurato in autunno grazie al finanziamento offerto dalla Fondazione della cassa di Risparmio di Genova e lmperia, che con profonda sensibilità è intervenuta per riqualificare un luogo di grande pregio ambientale e panoramico.
Orietta Mazzocco But
Tratto da IMPERIA NEW MAGAZINE anno 1999
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