Posta sulla riva destra del torrente Prino vicino ad un ponte romanico, c'è Clavi, un piccolo gruppo di case che sembra avere origini lontane nel tempo e, secondo alcuni, romane (Lamboglia da "I monumenti medievali della Liguria di Ponente).
Sappiamo infatti che le ville romane e gli abitati rustici sorgevano, in prossimità dei corsi d'acqua e di strade che, se interne, dovevano collegarsi a quella principale, in questo caso la via Iulia Augusta. Sembra inoltre probabile che il tracciato della via Iulia Augusta riprendesse quello di un percorso già esistente in epoca preromana, la semileggendaria via Eraclea, mantenuta in uso, con le opportune modifiche, sino a tutto il periodo di Caracalla (G. P. Martino).
L'esistenza di una via interna di epoca romana che, superato il ponte a Clavi, sarebbe passata percorrendo l'argine sinistro vicino alla chiesa di Santa Maria dei Piani, sembra trovare conferma nel ritrovamento sia di monete vicino al ponte, sia di un insediamento ai Piani di epoca romana nella zona sopra via Ronchi.
G. P. Martino ipotizza che potrebbe anche non trattarsi di un itinerario secondario, ma della via Iulia Augusta vera e propria, lontana dalla costa fino a S. Stefano, con un ipotetico percorso vicinale: Varcavello, Castelvecchio, Barcheto, Bardellini, Artallo, Civezza.
Intorno al mille, le monache di S.Benedetto costruiscono la chiesa di S. Maria dei Piani, quella di S. Bartolomeo nella valle vicina (Caramagna) e quella di S. Maria di Castellazzo a Dolcedo, creando così le tre corti di Porto Maurizio, Torrazza e Dolcedo. Alla morte della contessa Adelaide, i Clavesana, divenuti padroni del territorio, mal sopportano l'influenza dei Benedettini e questi spostano i loro interessi sulla parrocchia di Porto che diventa chiesa principale e castello dominante, mentre le altre due corti, perduta importanza, vengono distrutte.
Nel 1228,tutto il territorio tra Taggia e Cervo viene ceduto da Oddone e Bonifacio Tagliaferro, marchesi di Clavesana, alla Repubblica di Genova in cambio di un reddito annuo di lire 250. Nel documento si legge: ... castrum et locum et villam Diani, et castrum et locum et villam Portus Mauriti .. et locum et villam S.ti Georgi et locum et villam Dulcedi et quidquid habemus in ipsa villa Dulcedi et S.ti Gigrgi quidquid avus noster, tempore mortis, in ipsa villa habebat nihil in nobis retento.
Come ben si nota, manca la parola castrum sia per Dolcedo che per S. Giorgio. Questo è molto significativo perché sembra far capire che i Clavesana, in Dolcedo, e il loro avo, nella villa di S. Giorgio, dovevano aver beni particolarmente "vicini" rispetto a tutto il restante territorio in loro possesso. Le proprietà dell'avo Bonifacio, marchese di Cravesana, non potrebbero essere state Clavi o Cravi, (come veniva chiamata ancora nel '500-'600), sita vicino ad un corso d'acqua e nei pressi di una importante via di comunicazione come fa presupporre il bel ponte di S. Martino?
Dal Doneaudi sappiamo che le ville dei tre terzieri prendevano nome dalle famiglie che coltivavano i mansi loro assegnati dai Marchesi di Clavesana e che col tempo tali ville si erano trasformate in villaggi, "per essere fabbricate le case dei coloni accanto alla abitazione del mansionario". Non potrebbe essere stato così anche per case di Cravi ovvero case dei Cravesana?
Liberi dai Clavesana e stipulate le convenzioni con Genova gli abitanti della zona formano la comunità di Porto Maurizio.
Nel 1514 il Giustiniani annota tra le ville di Dolcedo, che fa 500 foghi (circa 2500 abitanti), anche case de Cravi, posta anche dal Doneaudi nel terziere di S.Tommaso.
Solo successivamente Cravi, almeno dal punto di vista della diocesi, passa sotto Torrazza.
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