1001-2001, il millennio di San Giorgio
di ORIETTA MAZZOCCO BUT
Alla fine del 1999, in cui una parte consistente del mondo ha dato la sensazione di essere in preda all'ansia di concludere il secondo millennio un anno prima del suo vero termine, mi piace pensare al silenzio e alla pace in cui è immersa una costruzione che celebrerà i suoi mille anni di vita proprio nel primo anno del terzo millennio, il 2001, essendo stata consacrata nel 1001.
Esattamente il 19 maggio. È la chiesa di San Giorgio,
parrocchiale di Torrazza. E' pur vero che
l'edificio attuale è un monumento romanico del XII secolo, ma sostituisce una
chiesa che già esisteva. Ne fanno fede la scritta secentesca che si legge su un
pilastro e l'uso popolare, comune a Torrazza
nel passato, di definire le cose antiche come appartenenti al 1001. Anche il
sacro e vago Giardinello, opera del Seicento fondamentale per la conoscenza
degli edifici religiosi, ne indica la consacrazione come avvenuta nel 1001. Nel
Medioevo diede il nome a uno dei tre terzieri in cui era suddiviso il territorio
di Porto Maurizio, il terziere di San Giorgio. Anche se i rifacimenti del secolo
XVII ne hanno alterato la fisionomia originale, conserva un'armoniosa abside in
pietre a vista ben squadrate, ornate da lesene e da una cornice di archetti
pensili.
Nell'abside si aprono tre monofore strombate e una monofora a feritoia si apre
nella parte inferiore del campanile, anch'essa romanica. Anche se la costruzione
attuale è di poco posteriore la chiesa è sentita dagli abitanti della valle
come consacrata nella data che la scritta recita.
Storia o leggenda, fatto documentato o apocrifo, la seduzione del luogo ci
riporta a quell'anno 1001 che dette inizio al secondo millennio. Fu il periodo
della rinascita dopo i terrori della fine del mondo, il periodo in cui l'Europa
si coprì di un «bianco mantello di chiese». È un monaco cluniacense,
Rodolfo il Glabro, a darci questa bellissima immagine nella sua
"Cronaca" del 1047. Certamente San Giorgio non può competere con le
più famose coeve cattedrali romaniche, ricche di più ardite strutture
architettoniche, colonne, capitelli e sculture, di altre parti d'Europa. Nella
Liguria di Ponente, come nella Provenza orientale, le linee sono semplici, la
parte ornamentale limitata a sottolineature o a motivi ripetuti, ma è alta la
qualità dell'apparato murario, vero requisito di bellezza, tale da permettere
all'edificio una sopravvivenza millenaria.
Costruzione sobria, immersa fra le fasce degli ulivi. Fascino discreto della
sobrietà ligure, fatto di pietre e argentei ulivi. Come non ricordare Boine? «I
nostri padri. . .non ci han lasciato la gloria delle architetture composte,
hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri
a secco come templi ciclopici»... «E noi fummo tra gli ulivi come un
popolo antico nella sua cattedrale...».
Ecco: chiesa romanica consacrata mille anni fa, immersa fra gli ulivi delle fasce sostenute dai muri a secco. Non è facile trovare un luogo che più di questo sintetizzi le caratteristiche del paesaggio ligure costruitosi in mille anni, un paesaggio che sempre più attrae il turismo di qualità che ama le atmosfere cariche di bellezza e di storia, capaci di dare emozioni profonde. La coltivazione degli ulivi fu introdotta dai monaci benedettini intorno al Mille, contemporaneamente alla costruzione della chiesa. E la chiesa continua a vivere. Ne è parroco un vecchissimo sacerdote che Giuseppe Cassinelli ricorda in una lirica: "Messa d'agosto". «Gli striminziti cespi di taràssaco / e piantaggine spuntano tra i ciottoli / del sagrato. Nell'afa d'agosto / è socchiusa la porta della chiesa. / Il vecchissimo parroco del piccolo paese / celebra incespicando (frettolosi / i fedeli rispondono)». La anima frate Giorgio che guida i fedeli di Clavi e Torrazza anche nel ridare nuova vita a festività e tradizioni: dai canti dei cori giovanili, che rendono più solenni le celebrazioni, alle processioni in occasione del Venerdì Santo o della festività dei Santi venerati nelle chiese di Torrazza, dall'Infiorata del Corpus Domini alla benedizione del fuoco e dell'acqua a Pasqua. Sul sagrato, dove oggi si sosta dopo la Messa per i saluti, lo storico Donaudi colloca uno degli episodi più suggestivi del suo romanzo "Annina", scritto ne11871, ma ambientato nel XV secolo.
«Una bella notte serena, un uomo a cavallo correa di galoppo per la strada che mena a Torrazza... Quando giunse sulla piazza di San Giorgio era la mezzanotte. La chiesa parrocchiale di San Giorgio, antica tanto che venne consacrata fin dall'anno 1001, sorge solitaria in mezzo alla valle, ed era in quei tempi il ritrovo comune, ove i terrazzani dei circostanti villaggi si recavano ad assistere agli uffizi divini, a battezzare i loro nati, a seppellire i loro morti. La strige fuggendo spaventata dagli alberi del piazzale mandò da lontano ripetuti singulti. Il guerriero scese da cavallo, piegò ambe le ginocchia d'innanzi la porta maggiore della chiesa e pregò; poi prese su per l'erta, in cima alla quale s'estolle il villaggio di Torrazza colle sue case, come un mucchio di arnie raggruppate sulla cresta del monte». Oggi questa chiesa millenaria, sempre ornata dei fiori provenienti dalle vicine serre, risonante di canti nei giorni di festa o immersa nella quiete serena, ha bisogno di riparazioni del tetto e del restauro di due tele del Seicento e soprattutto dell'organo costruito da G.B. Ciurlo nel 1778.
Dalle "Note Ingaune" di don Borzacchiello riporto queste parole: «Innanzi
a un organo come quello di Torrazza non
si sa se sorridere o rattristarsi. Ciurlo, un grande nome dell'organaria ligure.
La cassa settecentesca dipinta, una delle più belle della diocesi, intatto
così come è uscito dalle mani e dal cuore dell'organaro. Dall'altro
un'amarezza indicibile per le canne manomesse e per lo stato d'abbandono, per la
rovina di una testimonianza di grande Arte e di fede». Immagino l'organo
restaurato: la chiesa potrebbe ospitare concerti e offrire agli appassionati,
oltre che il dono della musica, quello della straordinaria bellezza della sua
abside, del sagrato erboso, dei fiori e delle fasce di ulivi.
Arrivare a questo risultato sarebbe il modo migliore per celebrare l'inizio del
terzo millennio nel segno di una spiritualità cristiana in cui tutti, credenti
e agnostici, non possiamo non riconoscerci.
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