IL TESORO DI FIORINDA
di Giuseppe Cassinelli
(in occasione del centenario di Fiorinda a cui vanno tutti i nostri auguri)
Dopo
cena, nel casone di Nesto, il pastore, era venuto Richetto di Santina con un
giovane che lo aiutava. Nesto e Richetto avevano comprato l'erba di una malga
sulle pendici del monte Monega: la parte più grande, Nesto, la più modesta,
Richetto.
Nesto
riempì i bicchieri: anche alle donne, la moglie e la figlia Fiorinda.
Richetto
alzò il bicchiere: - Salute!
-
Salute… salute… - mugolò l’altro. – Per quanto poi, “Salute”, manco
tanta, quest’anno: l’erba della malga m’è costata un occhio della testa.
-
Colpa della guerra. - arrischiò il giovane.
-
E’ una guerra, questa, che potrebbe anche non finire più, - profetò Richetto
che aveva due figli al fronte. – Mica è come le altre. Mi contava mio padre
che quella del Cinquantanove, quando i Francesi son passati dalla marina, manco
due mesi è durata. Non parliamo poi della Libia! Bastava pensare alla canzone
che ci avevano fatto. Accennò il motivo a bocca chiusa.
Aveva
una bella voce, Richetto, di contralto. E sapeva anche lèggere. Nesto invece
faceva di solo conto, ma in quello non lo batteva nessuno. Quanto a leggere, -
diceva, - serviva solo a riscaldare il cervello, difatti, neanche la figlia
sapeva leggere. A parte il fatto che per andare dal paese alla scuola sarebbe
dovuta partire e tornare a lume di lanterna. E poi, chi avrebbe aiutato la
moglie a governare le bestie?
Fiorinda
era una ragazzetta svelta che andava per i quattordici anni. Appartata in un
angolo del casone agitava con forza il pestello della zangola. Se ne stava in
silenzio, ma quando Richetto ebbe il secondo bicchiere: - Come faceva quella
canzone? – domandò.
Richetto
vuotò il bicchiere:
-
Faceva: “E a colpi disperati, / mezzi massacrati / dalle baionette / i Turchi
fuggivano, / gridando: Alpini / abbiate pietà”.
-
E poi?
-
E poi: “E col fucile in spalla / caricato a palla / son ben armato / paura non
ho. / Quando avrò vinto, / ritornerò…”
Si
interruppe.
-
Lascialo quietare, Fiorinda.
L'altro trasse un sospiro profondo: - Era una bella canzone, allegra, lesta come quella guerra... Allegra?... Ma è mai allegra una guerra? specie questa? Due anni che è cominciata e siamo sempre lì sull'Isonzo; da una parte noi, gli Austriaci dall'altra, ci ammazziamo con convinzione come il primo giorno.
Adesso la luna illuminava a giorno l’intero casone.
- E’ ora di andarmene, Nesto. Una di queste sere venite voi nella mia baracca. Fiorinda finiva di disporre i pani di burro sui graticci di giunco. Fu l’ultima a coricarsi.
Si levò qualche ora dopo la mezzanotte, aprì lo stabbio avviando le pecore ai pascoli alti in modo da giungervi prima dell’alba: è nelle ore fresche che le pecore mangiano; quando il sole si fa alto si accosciano in cerchio, muso contro muso, strette una all’altra.
Allora Fiorinda lasciava la madre a guardia delle bestie e dalle pendici del Monega si precipitava giù, dentro i castagneti. Ricompariva carica di funghi, boleti giovani, ben sodi che affettava e stendeva a seccare su assi, vicino al casone. Poi accendeva il fuoco, aiutava la madre a impastare, mangiava un boccone e si buttava di nuovo giù, tra la furia delle cicale nel bosco. Quell’anno non aveva tempo di raccogliere camomilla o lavanda, nemmeno il bonmegu, il medicinale assenzio. Aveva un solo interesse, quell'anno, quasi un orgasmo: i funghi.
I
falciatori che vedevano quell’andirivieni: - Quest’anno - le chiedevano –
cos’hai, Fiorinda, che non quieti mai?
-
Ci hai il moroso laggiù nei boschi?
Una
fresca risata era la sua risposta.
Anche
Nesto a volte si chiedeva perche riposasse così poco, ma i faiciatori lo
rassicuravano: lo lasciasse fare, si vede che le bastava poco sonno. Continuò
la raccolta anche quando trovava ormai soltanto funghi invecchiati.
Una
parentesi di tregua ci fu nel cuore della canicola, ma dopo ferragosto era
piovuto in abbondanza e ora nascevano i boleti nuovi: una vera cuccagna per la
vispa cercatrice che ricominciò la frenetica spola tra prato e bosco.
Intanto
si avvicinava il tempo della transumanza verso i paesi della costa e ognuno
aveva il suo daffare: le donne a raccogliere il buon "formaggio
d'alpe", i pastori contrattavano con i padroni delle malghe l’acquisto
dell’erba per l’anno seguente. Fiorinda dal canto suo, tutta allegra, faceva
il bilancio della straordinaria raccolta: quasi cinquanta chili di funghi secchi
– una vera ricchezza che aveva riposto con cura per portarla con sé.
E
venne il giorno della partenza. Lei corse a prendere il suo tesoro. Trovò
soltanto due miseri sacchetti di boleti. Per quanto si affannasse a cercare i
suoi funghi nei più remoti nascondigli dei casone, non ci fu verso di trovarli.
Le
spiegò tutto suo padre: - Il padrone della malga quest’anno mi ha venduto
l’erba solo a un patto: se lo pagavo non in denaro ma coi funghi. Ho dovuto
darglieli tutti.
Fiorinda
lanciò un urlo: - I miei funghi! Tutti i miei funghi! - e si gettò nelle
braccia della madre singhiozzando: - Volevo venderli in città... per farmi il
corredo... un corredo da gran signora… i miei funghi… il mio corredo.
E non si dava pace..
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