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La conchiglia di Finisterre
di Orietta Mazzocco But
Turista od escursionista, devoto dell'apostolo Giacomo o solo alla ricerca di cultura e di storia, chi percorre l'itinerario che porta a Santiago di Compostela vive un'esperienza indimenticabile purché sosti in tutti i centri che costellano il cammino, per molti tratti affiancato dalla strada carrozzabile, attraverso Navarra, Aragona, Rioja, Castiglia, Leon. I Pellegrini diretti in Galizia, alla cattedrale che custodisce la tomba di Giacomo, sono ogni anno decine di migliaia: vanno a piedi, a cavallo, in bicicletta, con mezzi pubblici, ma comunque devono aver percorso almeno cento chilometri a piedi o a cavallo o duecento chilometri in bicicletta per potersi fregiare del diploma di "pellegrini di Compostela".
Nell'anno 1999 si stima che in quattro milioni abbiano celebrato l'anno santo compostelano, anno iacobeo come tutti quelli in cui il 25 luglio, San Giacomo, cade di domenica (lo stabilì nel 1179 una bolla di Alessandro III che proclamava il "iubileo plenissimo", di molto anteriore al primo giubileo romano che è del 1300). Lungo il cammino si incontrano uomini e donne di tutte le età, isolati o in gruppi, e non solo cristiani praticanti, ma anche seguaci di altre religioni, particolarmente buddisti, e laici, moltissimi laici. Evidentemente sul cammino non si segue solo un percorso di fede, ma una ricerca di spiritualità, un cammino all'interno di se stessi. La suggestione è forte perché si avverte vivissima la memoria dei milioni di pellegrini che nei secoli, a partire dal IX, si sono diretti a Santiago superando difficoltà inimmaginabili oggi. Molti sapevano che non sarebbero arrivati alla meta: li avrebbero fermati i briganti, le malattie, gli animali feroci, gli ostacoli naturali rappresentati da monti, fiumi, boschi e lande deserte per un numero incredibile di chilometri: novecento solo in territorio spagnolo. Il reticolo segnato dal Cammino sulla Carta d'Europa è impressionante: dalla penisola scandinava, dalla Russia, dai paesi baltici, dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda, dall'Italia e dalla penisola balcanica i pellegrini viaggiavano su sentieri che nei secoli sono diventati strade lungo le quali sono sorti ospizi, santuari, monasteri, paesi e città. Sovrani, eremiti, ordini religiosi e cavallereschi proteggevano i pellegrini e creavano le strutture per facilitare il viaggio: strade, ponti, ospedali, chiese. A muovere le folle è la tomba dell’apostolo Giacomo, fortunosamente trovata all'inizio del IX secolo dall’eremita Pelagio guidato da una stella ("campus stellae"). Quando Ramiro, re delle Asturie, batté i Mori dopo aver avuto in sogno la visione di San Giacomo che su un cavallo bianco guida i cristiani alla riscossa, 1'apostolo diventa il santo della Riconquista, il Matamoros.
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Al ritorno da Santiago ho letto molti testi sull'argomento, mi sono interrogata sulla via del Cammino in Liguria e ho trovato numerosi spunti interessanti. Prima di tutto una considerazione: il Cammino in Spagna è qualcosa di straordinario che mette in evidenza un'azione di recupero delle antiche vie e strutture molto avanzata, per quanto esistano centri ancora in parte fatiscenti, come Sahagun e Castrojeriz, ma gia avviati a riacquistare 1'antico splendore. Si tratta di restauri imponenti, sostenuti finanziariamente dalla Comunità Europea a partire dal 1987 quando il Cammino fu proclamato Primo Itinerario Culturale Europeo e Patrimonio dell’Umanità.
La visita di Giovanni Paolo II nel 1989 ha contribuito a rilanciare il Cammino, che nel 2004 celebrerà il primo Anno santo del III millennio (Genova, che nello stesso anno sarà capitale europea della cultura, penso non trascurerà questa fortunata coincidenza). In Francia nel 1950 solo pochi eruditi conoscevano il tracciato degli antichi percorsi. Oggi lungo le quattro vie, che hanno come teste Tours, Vezelay, Le Puy ed Arles, cio che cinquantanni fa sembrava pura utopia si e tradotto in realtà. La Via Podiensis da Puy en Velay a Roncisvalle, la Via Turonensis da Tours ad Ostabat, nei Pirenei (ma anche da Parigi a Tours), percorsa da umili pellegrini, ma pure da Clovis, Carlo Martello, Pipino il Breve, Carlo Magno, la Via Lemovicensis da Vezelay ad Ostabat e Roncisvalle, la Via Tolosana da Arles al Col de Somport: migliaia di chilometri di percorso riattivato. Da Arles parte il Cammino provenzale percorso da iacobei provenienti da Italia e Provenza, ma anche da Germania ed Europa Centrale, e dagli spagnoli e portoghesi che si recavano a Roma o in Terrasanta. I pellegrini che partivano dall'Italia e per 1'Italia transitavano provenienti da altri paesi percorrevano le vie del Moncenisio o del Monginevro oppure raggiungevano Genova e seguivano poi la Via Iulia Augusta fino ad Arles. Ma potevano scendere anche lungo la Val Tanaro: non dimentichiamo che il reticolo di strade è quanto mai intricato e il pellegrino medioevale segue sue personali motivazioni che lo portano a volte e seguire percorsi apparentemente illogici.
Uno studio appassionante di Flavia Varaldo Grottin ridisegna i percorsi del pellegrini tra la Val Tanaro e la Liguria di Ponente, pellegrini che si imbarcavano a Porto Maurizio per Genova, diretti in Terrasanta, ma anche pellegrini che si avventuravano sul percorso interminabile di Santiago di Compostela.
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Ad assisterli erano le strutture predisposte dai cavalieri di San Giovanni, che dopo la riconquista della Terrasanta ad opera dei Turchi continuarono la loro attivita di assistenza e beneficio dei devoti di San Giacomo: la chiesa di San Raffaele a Nava e l'oratorio di Santo Stefano a Pornassio, la chiesa di San Bartolomeo sotto il valico omonimo e i ponti di Dolcedo e Clavi di Torrazza, la chiesa dei Piani e 1'ospizio e la chiesa della Marina a Porto Maurizio. Non puo essere senza significato che a Prelà Castello, nella chiesa di San Giacomo, il santo sia rappresentato in tenuta di pellegrino compostelano e soprattutto che nel santuario di Montegrazie una cappella votiva contenga ben quattro affreschi dedicati ai miracoli di San Giacomo. Li dipinse nel 1498 Gabriele de Cella, pittore originario di Finale Ligure, nell'abside destra del santuario, e raffigurano due episodi del miracolo dell'innocente impiccato, San Giacomo alla battaglia di Clavijo in vesti di Matamoros e 1'apparizione di San Giacomo in aiuto del pellegrino abbandonato con il compagno morto. Quattro scene, che sono altrettanti racconti popolari, fresche e vivaci come gli ex voto, testimonianze della devozione iacobea in una zona che vedeva la presenza fin dal 1028 di un monastero benedettino filiato da Caramagna in Piemonte (donde il nome della vallata). Montegrosso nel sec. XIII era compreso nel terziere di San Giorgio di Torrazza, una delle tre "compagne" che formavano la repubblica di Porto Maurizio. Una ripida mulattiera, ancora oggi esistente, era in antico 1'accesso piu frequentato, proprio in direzione del Ponte di CIavi posto sotto la protezione dell'altro patrono dei pellegrini, San Martino. La processione che ogni anno si snoda da San Giorgio di Torrazza al Santuario di Montegrazie è una tradizione antichissima che sicuramente affonda le radici in quei tempi remoti: d'altra parte sul culmine della facciata del santuario troviamo 1'immagine di San Giorgio. Fermiamo 1'attenzione sul ponte di Clavi, che l'analisi della muratura colloca nel XIII sec. Già il prof. Lamboglia supponeva che il ponte servisse a una viabilità parallela alla costiera Iulia Augusta. Tale via doveva servirsi del ponte di Barcheto, a Castelvecchio, di origine medievale, di quello di Clavi e, più a ponente, di quello di Taggia. Anche una via perpendicolare, da Piani a Dolcedo, probabilmente attraversava il ponte di Clavi. In ogni caso la presenza di un ponte è una testimonianza importante della viabilità, e due ponti cosi antichi come quelli di Dolcedo e Clavi, a poca distanza e perfettamente conservati sono la prova dell'esistenza di percorsi e strutture probabilmente riconducibili ai Cavalieri di San Giovanni (o di Malta, come furono chiamati dalla loro ultima roccaforte).
Non dimentichiamo la chiesa romanica di San Giorgio dove un convento benedettino poteva offrire, nel suo piano piu basso ancora esistente, ricovero ai pellegrini, e gli edifici di Clavi con funzioni mercantili.
Ponti, dormitori, strutture mercantili sorgevano lungo le vie dei pellegrinaggi. Che si dovesse privilegiare una via interna è assai probabile: la via romana antica era diventata impraticabile e le incursioni e le razzie dei pirati rendevano pericoloso tutto il litorale, tant’è vero che spesso i pellegrini preferivano i valichi, più difficili ma più sicuri, del Moncenisio o del Monginevro, sulla via Francigena, per andare a Roma o in Galizia. Comunque sempre la via italiana e la provenzale erano percorse, benché 1'attraversamento del paese albigese, dove 1'eresia catara aveva la sua culla, aggiungesse nuovi pericoli per i devoti iacobei e romei, a cui gli eretici si mischiavano insieme a falsi monaci e falsi pellegrini, che si fregiavano, come i veri, della conchiglia. Dai pericoli di ogni genere sempre incombenti i pellegrini chiedevano protezione a San Giacomo, a San Rocco e soprattutto a San Martino, molto amato nelle campagne per la sua umiltà e generosità, il santo dei pellegrini per eccellenza per aver diviso il suo mantello con un viandante. A fianco del ponte di Clavi sorge 1'oratorio di San Martino. E’ una dedicazione significativa, anche perché il santo era stato eremita alla Gallinara prima di diventare vescovo di Tours. Ma ci sono altri segni. Nei pressi del ponte di Barcheto a Castelvecchio, sulla sponda destra dell’impero, le carte dell'0ttocento e ancora del Novecento segnalavano la presenza di una chiesa dedicata a San Giacomo, indizio non trascurabile che siamo lungo il cammino di Santiago. A Clavi vi e ancora memoria dell'ospitalità che veniva concessa ai viandanti. Quanti segni concentrati in uno spazio cosi limitato!
Un territorio ancora tutto da esplorare e studiare, che può riservare indicazioni anche sul tracciato della Via lulia Augusta il cui percorso originale è in molte zone indefinibile.
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Gli scavi del1992 per il metanodotto hanno portato alla luce i resti di un insediamento romano di tipo rurale sulla sponda destra del Prino, in località Ronchi, prova che già in epoca romana esisteva un percorso mare/monte e che forse la stessa Iulia Augusta, varcato il Prino vicino al mare, correva poi all'interno.
In presenza di tanti segni di un itinerario per Compostela perché non fare quello che Spagna e Francia hanno già attuato con grande successo anche sotto il profilo dello sviluppo turistico di qualità?
Pure in un contesto parzialmente urbanizzato i "segni" emergono: chiese, santuari, tratti di antiche strade mulattiere, ponti, se visti come strutture delle vie dei pellegrini, acquisterebbero una suggestione più ampia e soprattutto potrebbero diventare il mezzo per riscoprire il territorio e ricercarne i tesori nascosti. Rivitalizzare 1'antica via e il patrimonio di beni culturali ad essa collegato potrebbe essere 1'obiettivo di una politica lungimirante volta ad offrire la possibilità di ripetere almeno una parte del viaggio, oggi non più pericoloso come nel medioevo, quando a ogni passo si poteva cadere nell'agguato degli uomini e della natura, ma sempre affascinante come avventura spirituale.
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